il Giornale.it
giovedì 1 ottobre 2009
Il dolore e la speranza negli «Intarsi» di Gisella Colombo
di Stefania Vitulli
La consolazione che danno le piccole cose, lo stupore verso il mondo, l’acutezza dei sensi, che porta memorie e scoperte nuove ogni giorno. Proprio ciò che, solo a volte e non a tutti, salva la vita. Ieri a Milano (“Libri e Caffé”, viale Premuda, 15) sono stati presentati quattro piccoli volumi: due di poesie, Frammenti di felicità sospesa e Tracce di serenità ritrovata, e due di prosa, Intarsio e Tre parentesi. Non ci sono famosi editori né noti scrittori dietro questi titoli, ma un’insegnante milanese, Gisella Colombo, professoressa di lettere al liceo Leonardo da Vinci, che ha deciso di stampare i suoi piccoli tesori per conto proprio e di presentarli così, semplicemente, in un tardo pomeriggio che annuncia l’autunno, a chi abbia voglia di ascoltare la sua storia. Dentro le poesie abbiamo trovato il dolore, venuto nel mondo per lei dopo la malattia del figlio Giorgio, e la serenità, riconquistata anche con la scrittura, quell’«altalena tra il piacere e la paura» che l’ha portata a guardarsi dentro, a osservarsi e a lasciarsi osservare dalle cose. Dentro le prose – che sono brevi racconti ma anche fantasie, dove c’è spazio per riflessioni e memorie – si svolgono in realtà i diari della Colombo insegnante. In Intarsio, i ricordi diventano volti: quelli degli alunni di Magenta messi in galleria, uno dopo l’altro, zainetti e gomme da cancellare vicino a drammi e amori in erba. Si sente la voce del professor Keating che invita a cogliere l’attimo fuggente. Si vede una scuola che crediamo di aver vissuto anche noi, fatta di scambio e passione, dello sguardo trepidante di una professoressa che ci pare di aver conosciuto anche se la vediamo per prima volta, oggi che è diventata scrittrice: «Primo giorno di scuola. Sto per entrare in una nuova terza. Una settimana di programmazione alle spalle: tante idee fiorite, inseguite, rielaborate, accantonate, cassate… Frasi vere, frasi fatte, frasi vuote, frasi ad effetto; paroloni capaci di stupire un’accolita di colleghi appena approdati al liceo. L’eco dei discorsi sfuma. Dal monte dei progetti alla landa della prassi. Un briciolo d’ansia si annida in un angolo e non riesco a stemperarlo». Parole che, non c’è dubbio, coinvolgono i ricordi di ciascuno di noi, protagonisti, più che semplici spettatori.
Premiazioni
VERONA, “L’Arena”
OGGI IN CULTURA
28 maggio 2017
Premio Federica, le parole come terapia
Gisella Colombo, di Milano, premiata per la sezione poesia sul palco dell’auditorium della Gran Guardia di Verona (FOTO MARCHIORI)
La parola come esorcismo. Come possibilità di esprimere, nella forma della scrittura, che implica un lavoro di elaborazione del sentimento, un tempo di personale ripensamento rispetto all’urgenza del quotidiano vocio di parole che troppo spesso ci frastorna, dolori, ansie, speranze, attese rispetto all’esperienza della malattia. Nasce da questa consapevolezza, e dal desiderio di trasmetterla a quanti sono costretti a convivere con la più terribile delle malattie, il cancro, il premio letterario Federica, di cui ieri pomeriggio, nell’auditorium della Gran Guardia affollato di molto pubblico, si è svolta la seconda edizione.
Il Premio Federica – Le parole della Vita è infatti un concorso nazionale di medicina narrativa dedicato esclusivamente a malati di cancro, familiari dei pazienti e operatori sanitari del settore oncologico. L’iniziativa è organizzata dalla Fondazione Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica). E se l’idea del premio poteva sembrare una scommessa difficile perché non è facile mettersi a nudo e raccontarsi, questa seconda edizione, con il grande successo di adesioni che ha ottenuto, mostra invece che l’iniziativa di Aiom ha colto nel segno. Per questo Aiom ha già deciso di mantenere l’impegno e di far proseguire anche per l’anno prossimo il concorso.
«Alla giuria sono arrivate oltre 150 produzioni letterarie: metà scritte da pazienti oncologici e metà da familiari e operatori sanitari. In Italia oltre 3 milioni di persone lottano o hanno lottato contro il cancro», ha spiegato la professoressa Stefania Gori, ideatrice del concorso, presidente eletto di Aiom e direttore dell’Oncologia medica dell’Ospedale Sacro Cuore – Don Calabria di Negrar. «Con questa iniziativa abbiamo voluto raggiungerli e convincerli a raccontare la propria esperienza di vita con la malattia per affrontare meglio le difficoltà. Scrivere permette di dar voce alla propria dimensione intima, alle conquiste che molti pazienti sono riusciti a raggiungere e al valore che hanno attribuito al vivere ogni giorno al meglio».
«La parola è un’arma terapeutica e abbiamo scelto di dedicare il concorso a Federica Troisi, una giovane donna che ha combattuto la sua malattia con determinazione, talvolta anche con ottimismo, continuando a scrivere, sognare, lavorare, amare e progettare».
La cerimonia conclusiva di premiazione del concorso, condotta da Chiara Giallonardo di Rai 1 , è stata anche una festa nel corso della quale si sono esibiti il soprano Dimitra Theodossiou, vincitrice degli International Opera Awards «Opera star», il coro A.Li.Ve dell’Arena di Verona diretto da Paolo Facincani, che ha eseguito «La forza della vita», brano considerato l’inno dell’evento, il pianista Roberto Corlianò, la violinista Kaori Ogasawara, i ballerini campioni del mondo di tango Valentina Bertanzon e Marco Morari, il fisarmonicista Pietro Adragna, quattro volte campione del mondo, e l’armonicista Giuseppe Milici.
Durante la serata sono stati premiati per la sezione pazienti nella categoria poesie Alina Rizzi di Triste, Alessio Del Ry di Pisa e Graziella Trentini di Valsamoggia (Bologna). Nella categoria racconti al primo posto Clelia Tollot di Torino, al secondo Rita Menta di Brescia e al terzo Daria Passacantando di Roma. Un premio speciale è stato consegnato a Daniela Orsini e Lorenzo Piero di Gorizia.
Nella sezione dedicata a parenti e operatori sanitari sono stati premiati per la categoria poesie al primo posto Gisella Colombo di Milano, al secondo Enzo Melari di Terni e al terzo un ex equo Lea Petrella di Roma e Vincenzo Marra di Perugia. Infine nella categoria racconti al primo posto Paola Librizzi di Palermo, al secondo Veronica Coltro di Fumane e al terzo Monica Vaccaretti di Vicenza.
Alessandra Galetto
Gisella Colombo e Carmelita Fioretto presentano e firmano copie di FIAT 1100 in Mondadori
Milano, Anni Sessanta. Due vite, una donna. Due possibilità, ma forse due di un milione… http://bit.ly/1iBWmu0
“Panorama” cultura libri, 29 settembre 2015
FIAT 1100 di Gisella Colombo e Carmelita Fioretto.
La recensione
“Camparino è il luogo storico per Campari, simbolo stesso di Milano e dell’aperitivo nel mondo, proprio per questo fin da subito il progetto Camparino in Galleria mi ha dato la sensazione di essere diverso e avvincente, ho accettato di lavorarci con molto entusiasmo.” (Ugo Nespolo)
Queste le parole che l’artista piemontese ha usato per reinterpretare in chiave moderna lo storico marchio simbolo dell’aperitivo milanese.
Vi domanderete: perché stiamo divagando quando dovremmo leggere di un libro? Semplicemente perché tutto in Fiat 1100 (Harlequin Mondadori) ha inizio in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, al Camparino.
Sono gli anni Sessanta, in una Milano che si sveglia al mattino accecata dalla luce che filtra dalle griglie di una casa di ringhiera, quella stessa luce che rimbalza poi sulle vetrate colorate del Duomo e finisce per far brillare il bicchiere di Campari durante una assolata domenica primaverile.
Una domenica mattina come tante altre, fatte di quei riti consueti che vanno dalla passeggiata in centro per fermarsi ad ammirare le vetrine sontuose dei negozi, un aperitivo veloce per passare poi in pasticceria per un cabaret di paste da portare al pranzo in famiglia.
Questa la routine di Anna con Guido, il suo fidanzato, prossimi alle nozze.
Se non fosse che…
Come nel cinematografico Sliding doors, cosa sarebbe successo nella vita di Anna se avesse dato un seguito a quella sensazione di soffocamento che la attanaglia da tempo?
Sarebbe uscita da una porta diversa e avrebbe preso il primo tram, avrebbe camminato e camminato per una città che l’avrebbe condotta, inevitabilmente, al suo destino.
André.
L’amore di una vita. L’amore della vita così diverso da Guido, così pieno di immagini e di parole che la conduce per mano in giro per il mondo nella sua nuova dimensione. Una dimensione che Anna non tarda a fare sua. E ad andare così avanti e diventare una nuova donna, forte, sicura e consapevole del sé.
Ci sono persone eccezionali che incontriamo nel momento sbagliato e ci sono persone che diventano eccezionali perché le incontriamo nel momento giusto.
Mentre la vecchia Anna?
Quella cui bastava sfiorare le vetrine di Ghidoli e rimanere affascinata da tutto quel lino che avrebbe inevitabilmente fatto parte del suo corredo, nella sua nuova vita?
Quell’Anna è uscita dal Camparino dalla stessa porta attraverso cui è entrata, a braccetto con Guido che la farà sua sposa, che le regalerà una vita serena e normale.
In questa vita Anna sarà moglie e madre. Senza scossoni.
Qual è veramente la sua vita, quale le appartiene e la marca? La prima, la seconda o altre legate ad una porta ad un tram ad un bar?
L’esperimento delle due autrici, Gisella Colombo e Carmelita Fioretto di scrivere a quattro mani è riuscito nel suo intento perché l’Anna che leggiamo a Milano ha un piglio totalmente diverso dall’Anna cosmopolita al seguito di André. È fin troppo facile tifare per una vita legata alla passione, in cui ogni nuova città significa ricominciare e crescere, intraprendere una strada che arricchisce, mentre l’Anna che resta a Milano appare, agli occhi di chi la legge, spenta, legata alla gioia delle piccole cose. Non ho amato quest’Anna, men che meno il mondo legato alle apparenze in cui si trova a vivere, le menzogne della madre, la cupezza del padre, le debolezza di Guido. Un mondo fin troppo fragile, in cui a farne le spese appare solo lei.
Valeria Merlini
FIAT 1100
di Gisella Colombo e Carmelita Fioretto
Harlequin Mondadori, 2015
Intervista per “Omnimilano” su FIAT 1100
di Eleonora Molisani
1)Come vi siete conosciute? Com’è nata idea del libro a quattro mani?
Siamo amiche e ci frequentiamo assiduamente da parecchi anni. Abbiamo anche molti amici di comune. L’idea del libro è nata un po’ per caso, riflettendo insieme sulla vita, sul destino, sulle persone.
2) Come avete proceduto per la stesura del testo ? Cosa vi è piaciuto di questa esperienza?
Ciascuna di noi ha mantenuto il proprio stile di scrittura e ‘seguito’ la propria Anna. Gisella l’Anna che resta Milano e Carmelita quella che fugge via. Ovviamente ci siamo confrontate continuamente, soprattutto per definire alcuni personaggi e per quanto riguarda i ricordi, che non possono che essere uguali, anche se diverso è il modo di interpretarli.
Quando si è amiche e in sintonia è sempre divertente e arricchente creare qualcosa insieme.
3) Milano: che città emerge dal libro?
Forse una Milano che non esiste più, ma di sicuro non la città fredda, grigia e priva di umanità che chissà perché in molti credono che sia.
4) Che rapporto avete con la città? Il vostro luogo preferito?
E’ una città che amiamo, che troviamo bella, che viviamo. Il luogo preferito di Carmelita è Largo Treves, ma anche gli splendidi cortili della Statale, via Festa del Perdono quando di notte si svuota.
5) Ciascuno ha un suo “E se quel giorno avessi… Invece che…“. Qual è il vostro?
Carmelita si è spesso chiesta cosa ‘non’ sarebbe successo se una sera del 1994 non fosse andata a cena a casa di amici. Non ne aveva voglia, era stanca, ha fatto uno sforzo per andarci, tentata sino all’ultimo di inventare una scusa. Beh, quella sera ha conosciuto Juan Tito, geologo peruviano. La storia con lui, durata 12 anni, l’ha portata a fare la pendolare tra Italia e Sudamerica , tra l’Italia e la Malesia. Una storia travagliata ma che l’ha arricchita sotto molti aspetti.
6) Potete usare tre aggettivi per descrivere le due “Anna”? In quali aspetti vi ritrovate?
L’Anna di Andrè è: temeraria, originale, curiosa.
7) A chi affidereste il ruolo di protagonista nel film tratto da Fiat 1100?
Anna Valle oppure Vittoria Puccini
8) Una domanda sulla copertina: vi piace? Come è stata scelta?
Ci piace moltissimo. E’ proprio come la volevamo.
9) Scriverete/scrivereste un altro libro insieme ?
Stiamo già elaborando insieme una nuova storia
Premiazioni
INCONTRI
MILANO, 15 ottobre 2020
Da Bibliothè & Co.
Conversazione su INTARSI con Gisella Colombo e con gli autori del gruppo editoriale Solfanelli, Tabula fati e La torre dei Venti
di Paola Tosi e Rosella Ghiosso
Intervista su Scala B(is) per il Salone della Cultura di Milano novembre 2021
Silva Ganzitti, editor della casa editrice Solfanelli, dialoga con Gisella Colombo
Gisella Colombo, milanese, insegnante di liceo scientifico e neo pensionata, non è nuova ai racconti su Milano. Nel precedente romanzo, Scala B, di cui il nuovo lavoro è uno spin off, ha parlato di una città preda del suo periodo più brutto dal dopoguerra, quegli anni Settanta che l’hanno portata tristemente alla ribalta delle cronache. Le finestre del condominio si aprivano sulle vie nelle quali imperversava una violenza a cui nessuno era più abituato, che si scatenava in improvvise deflagrazioni e in atti di terrorismo che gettavano la popolazione nella stessa incertezza di trent’anni prima. In questo nuovo romanzo, ambientato dieci anni dopo, l’autrice ci trasporta negli appartamenti che non avevamo ancora visitato, incrociando le vite di condomini meno ciarlieri, più riservati e per questo tenuti poco in considerazione. Vite solitarie anche quando non vivono soli, prospettive bizzarre su un modo che spesso non viene vissuto ma nel quale indugiano soltanto con un passo, spaventati dalla velocità con cui tutto cambia e dalla giostra che è diventato: una volta saliti, scendere è quasi impossibile.
Una Milano da bere, questa città degli anni Ottanta che io ricordo così bene.
Forse il personaggio che più aderisce alla mia storia, nel senso che ha dei tratti autobiografici autentici, è Linda, la ragazza che vende porta a porta le enciclopedie, perché quello è stato il primo impiego che ho trovato da neolaureata (anche se poi tutte le enciclopedie vendute sono finite in casa mia: ho acquistato più di quanto non avessi venduto). La vendita porta a porta del resto in quegli anni era molto diffusa.
La ragazza che va su e giù per i gradini di Scala B(is) è una ragazza fine, intuitiva: le basta gettare lo sguardo al di là della porta socchiusa di un appartamento per capire il temperamento di chi vi abita, i connotati salienti della famiglia di cui conosce solo il nome sul campanello.
Comunque, sono più che altro dati di esperienza quelli che accomunano me e Linda; mentre c’è un personaggio maschile che decisamente porta con sé molto di più della mia vita e del mio sentire: è Pasquale. Nati lo stesso giorno, mese ed anno, abbiamo vissuto nello stesso palazzo fino a che, una volta sposati, non abbiamo cambiato domicilio. A parte questa singolare coincidenza, abbiamo tanto in comune, con lui mi risulta facile identificarmi. Pasquale è l’unico ad avermi da sempre chiamato Principessa e quella delicatezza nei miei confronti mista a una sottile ironia l’ho trasmessa al Pasquale personaggio, uno dei pochi a cui scrivendo non ho avuto bisogno di cambiare nome: di lui potevo dire solo cose belle! Lo testimonia la singolare storia d’amore di cui è protagonista – vera anche quella – nata proprio tra le fredde pietre di Musocco.
Il personaggio con cui certamente non mi identifico e che sento più distante da me è quello di Emilia, sempre uguale a se stessa, arroccata sulle sue posizioni, barricata in casa da anni per partito preso, mentre a me il nuovo piace, mi attrae, mi incuriosisce sempre. La sua ostinata chiusura verso l’esterno può essere letta come un più generale rifiuto del contesto cittadino, di quel grembo materno che è la Milano che l’ha generosamente accolta.
Per la famiglia Carlostella non ho dovuto inventare nulla. Loro sono proprio così, due macchiette, due personaggi che se non ci fossero stati nel condominio avrei dovuto inventarli. Nuccia e Gaetano, entrambi di origine calabrese, approdati a Milano nel dopoguerra: lei robusta, energica, abilissima nel curare le distorsioni con una sapienza antica tramandata da generazioni, solo intingendo il dito nella tazzina con l’olio d’oliva e massaggiando con cura la parte lesa; il marito, più largo che alto, con i mocassini sfondati e a tracolla la borsa fotografica più grande di lui. Ha lavorato – nella vita come nel libro – per il quotidiano “La Notte”, corredando con i suoi scatti servizi di cronaca, nera in particolare. Due personaggi perfettamente integrati nel contesto milanese, ma con dei tratti tipici del Paese d’origine: mi basti citare un segnale inequivocabile, l’odore d’aglio che aleggia sul pianerottolo della loro casa al quinto piano, percepibile ancor prima di varcare la soglia.
Raccontare la mia città è la mia passione. Non a caso, fatta eccezione per INTARSI che è un romanzo a se stante incentrato su una grande amicizia, c’è un filo rosso che lega i tre libri che ho scritto – FIAT 1100, SCALA B, SCALA B(is) – tutti ambientati a Milano a partire dagli anni del boom economico fino ad arrivare a quest’ ultima panoramica sulla “Milano da bere”, come dicevamo all’inizio, con i suoi locali alla moda, bar e paninoteche.
Milano, tuttavia, non fa solo da sfondo, non è esclusivamente lo scenario su cui proiettare avvenimenti importanti e significativi, o anche episodi minimali (vedi quello della banda di ragazzini che scippavano il panettone ai passanti), fatti che comunque ci danno la misura del contesto sociale e della temperie morale dei suoi abitanti.
È la città stessa che diventa protagonista con le sue atmosfere e le sue note tipiche, con i suoi colori, non ultimo il colorito locale dato dalla lingua parlata. Qui troviamo la portinaia che nei suoi dialoghi inserisce frasi in dialetto, così come sentiamo parlare in milanese i personaggi che sostano nel vecchio bar latteria, baluardo di una serie di locali ormai in via d’estinzione; è la città con i suoi profumi e i suoi aromi, quelli dolci e invitanti che sentiamo nelle pasticcerie storiche del centro.
Mi piace ricostruire atmosfere per restituire sì il sapore di un’epoca, ma anche le sue contraddizioni e i suoi contrasti, perché in Scala B(is) Milano non è solo sfavillante e briosa, ma diventa anche umbratile e sommessa, quando nella stagione fredda la nebbiolina cala sulle scuderie di San Siro o sui giardini di Porta Venezia; non è solo la città che corre e gira veloce come lo stroboscopio della discoteca, ma quella che sa anche raccogliersi nel silenzio ovattato di Musocco.
Ecco perché per raccontare la città ho adottato un doppio registro, elegiaco da una parte, drammatico per non dire tragico dall’altra; leggendo si avvertono note nostalgiche e vibranti, ma colpisce anche il realismo crudo di scene che ho tratto da fatti di cronaca realmente accaduti in quel periodo, il che conferisce al testo quel sapore agrodolce che lo caratterizza.
Infine, l’amore per la mia città trapela anche dalla scelta dei titoli che ho dato a queste favole metropolitane: le storie che racconto in ogni capitolo hanno il nome di una via, di una piazza o di una zona che l’episodio narrato motiva o suggerisce.